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Rischio tasso, Paese, emittente e cambio: ecco i principali rischi che entrano in gioco quando si ha in mano un bond
Nel mondo obbligazionario, gli investitori tendono a focalizzarsi sui tassi d’interesse e a preoccuparsi del fatto che un incremento dei tassi comporta un calo del valore dei bond. E questo perché i tassi d’interesse e i prezzi delle obbligazioni hanno un rapporto inversamente proporzionale, per cui quando i tassi d’interesse crollano, il prezzo delle obbligazioni sul mercato generalmente sale, mentre viceversa, quando i tassi d’interesse aumentano, il prezzo delle obbligazioni tende a crollare, perché gli investitori cercano di disfarsi dei bond che pagano tassi d’interesse più bassi, facendo di conseguenza scendere i prezzi delle obbligazioni stesse.
Qual è lo scenario che si presenta agli occhi? In Europa, il 9 giugno, la Banca centrale europea ha lasciato invariati i tassi di interesse, con il tasso principale a livello zero e quello sui depositi delle banche in negativo dello 0,4%, assicurando che rimarranno ai livelli attuali per un prolungato periodo di tempo, grazie alla scomparsa del rischio di deflazione. Ma ha tolto nel suo comunicato il riferimento alla possibilità di tassi «più bassi» rispetto ai valori attuali. Intanto, mentre nel Vecchio continente il momento della verità è rinviato a settembre, oltreoceano si guarda al 14 giugno, data in cui gli investitori si aspettano che la Fed proceda a un ulteriore aumento del costo del denario, portando i tassi nell’intervallo compreso tra lo 0,75 e l’1%.
Il timore di un rialzo dei tassi non deve, però, scoraggiare gli investitori dal procedere con questa forma di investimento, che – grazie a un’attenta selezione e strategia – continua a offrire interessanti opportunità. All’interno di questo processo di selezione non bisogna però scordare che, oltre al rischio tasso, ci sono altre componenti di rischio che entrano in gioco: si tratta del rischio Paese, rischio emittente e rischio cambio (solo per citare i principali).
Il rischio Paese è un’incognita che esiste da sempre (basta pensare al default dell’Argentina nel 2001), ma che fino a poco tempo fa passava in secondo piano, mentre ultimamente si trova sulle prime pagine di quotidiani, anche non finanziari. E la recente crisi economica greca ne è un esempio. In generale, dal 2010 – da quando cioè il fardello del debito sovrano europeo è diventato evidente – questa tipologia di rischio ha fatto conoscere i suoi effetti più devastanti, soprattutto quando viene sottovalutato. Il rischio Paese non è, infatti, nient’altro che il rischio che quello Stato possa andare in default e quindi non sia più capace di pagare quanto dovuto, obbligazioni incluse.
C’è poi un rischio emittente che è sicuramente il rischio a cui il soggetto è maggiormente esposto perchè è legato alla solvibiltà dell’emittente stesso: riguarda quindi la sua capacità di rispettare i pagamenti accumulati. Acquistando una obbligazione, infatti, l’investitore diventa finanziatore dell’emittente e si espone al rischio che questo diventi insolvente e che quindi non sia in grado di onorare gli impegni di pagamento. Un valido strumento per valutare la solvibità del soggetto è rappresentato dal rating attribuitogli dalle agenzie specializzate, considerando che i rating partono da AAA (tripla A, massimo dell’affidabilità) e scendono via via seguendo l’alfabeto fino alla D (situazione di default). In assenza di altri fattori di rischio che influenzino il prezzo dell’obbligazione e prima della scadenza, un peggioramento della situazione finanziaria dell’emittente o del rating può comportare una diminuzione del prezzo dell’obbligazione.
Infine, non si può tralasciare il rischio di cambio, ovvero il rischio che riguarda gli investimenti obbligazionari emessi in valute diverse dal mercato nel quale sono scambiate. Per un investitore dell’area euro, quindi, un esempio è dato sia dall’acquisto di obbligazioni emesse in dollari, sia dall’acquisto di bond di Paesi emergenti emessi in valute locali. In questi casi, l’investimento obbligazionario sarà strettamente legato alla relazione tra l’euro e il dollaro statunitense oppure alla relazione tra l’euro e la diversa valuta in cui è emesso il bond. Anche in questo caso, in assenza di altri fattori di rischio che influenzino il prezzo dell’obbligazione e prima della scadenza, un deprezzamento della divisa estera comporta una diminuzione del controvalore in euro dell’obbligazione e viceversa un aprezzamento della divisa estera comporta un incremento del controvalore in euro del relativo bond.