Dopo la vetta, il trauma della discesa

Larry Hatheway -

Nel corso delle ultime settimane, gli investitori hanno deciso di ridurre il rischio in portafoglio vendendo azioni, in particolare nei segmenti più affollati dei mercati mondiali. A trascinare l’azionario al ribasso sono stati, in particolare, i titoli di qualità e dell’information technology, oltre ai principali indici USA. Alcuni segmenti tradizionalmente a più alto beta, compresi gli Emergenti, hanno invece riportato performance positive. Le implicazioni sono chiare: gli investitori stanno riducendo il rischio, alleggerendo le posizioni che avevano acquistato all’inizio dell’anno, in particolare quelle al rialzo per il consensus.

È interessante notare che la volatilità del mercato ha coinvolto prevalentemente le azioni globali. Considerata la portata delle perdite sui mercati azionari, le oscillazioni di titoli di Stato e valute sono state relativamente contenute. In altri termini, gli investitori hanno ridotto il rischio senza incrementare in misura corrispondente le posizioni nei cosiddetti “porti sicuri” o in altri strumenti, con la liquidità a farla da padrone. Gli investitori sanno di cosa vogliono liberarsi, mentre c’è più incertezza su dove reinvestire.

Questo comportamento è in linea col nuovo paradigma dei mercati nella fase di discesa successiva a un picco. La crescita negli Stati Uniti ha toccato il livello massimo nel 2° trimestre dell’anno e probabilmente continuerà a rallentare. A frenarla gradualmente saranno i vincoli in termini di capacità, oppure i continui rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve. Dopo tutto, la Banca centrale americana sta registrando un incremento graduale dell’inflazione, con l’inflazione core già sul livello target, e non può tollerare a lungo una crescita oltre i valori medi.

Nessun’altra regione al mondo sembra però pronta a sostituire gli Stati Uniti come motore globale. Semmai, si teme un rallentamento dell’attività in Cina, aggravato dai tentativi di incrementare la spesa attraverso un allentamento delle condizioni di credito. Il 3° trimestre per l’Europa è stato un altro periodo di crescita sottotono. Sebbene sia dovuto a fattori straordinari (per es. al calo stagionale della produzione di automobili), pochi credono che un eventuale rimbalzo del Pil a fine anno persisterà anche nel 2019. Neppure il Giappone e gli altri Emergenti sono fonte di grande ispirazione.

Un ulteriore fattore da non trascurare sono gli utili. Nonostante un altro trimestre molto positivo, con utili in crescita rispetto all’anno precedente, la recente stagione delle trimestrali negli Stati Uniti non è stata particolarmente brillante. Gli investitori sono più preoccupati per il futuro che per il trimestre che si è appena concluso. Un numero crescente di imprese addebita questo andamento alle pressioni sui costi. La compressione dei margini è già iniziata: negli Stati Uniti gli utili in percentuale del Pil sono diminuiti costantemente negli ultimi due anni.

Questa fase post-picco ha un’ultima implicazione negativa. All’inizio dell’anno, quando la crescita negli Stati Uniti era robusta e in accelerazione, gli investitori potevano scalare il proverbiale “muro della paura”. Oggi le stesse problematiche (il rischio di un’escalation della guerra commerciale, l’incertezza politica, la stretta monetaria della Federal Reserve e le valutazioni degli strumenti finanziari) si sono ingigantite. Avendo la crescita già oltrepassato il livello massimo, il “muro della paura” diventa un ostacolo più difficile da superare.

La fase traumatica della discesa difficilmente aprirà la strada al tradizionale rally del 4° trimestre. Per buona parte degli ultimi dieci anni, gli investitori non hanno acquistato titoli solamente perché non erano costosi. Pertanto non basteranno le valutazioni più interessanti ad attirare sufficiente attenzione da risollevare i mercati. Gli investitori, al contrario, hanno bisogno di un catalizzatore che li coinvolga nuovamente. Purtroppo questo catalizzatore non si vede. Per questo motivo, difficilmente l’impasse a Washington (tutt’altro che scontata dopo le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti) basterà a trainare gli investitori, come è spesso accaduto in passato.

Pertanto, nel nostro scenario di base, la performance dei mercati resterà irregolare e maggiormente volatile. A nostro giudizio, va ridotta l’esposizione azionaria complessiva. Sono da preferire le società in crescita di più alta qualità, con una volatilità minima e margini più sostenibili. Dato che l’inflazione e la politica monetaria sono indietro rispetto al ciclo di crescita, preferiamo mantenere una duration breve, privilegiando il credito specializzato, come i titoli MBS garantiti da ipoteca di organismi non governativi oppure il debito insurance-linked. Privilegiamo inoltre gli strumenti alternativi liquidi, target return e i premi per il rischio alternativi per incrementare la diversificazione nei portafogli multi-asset. Crediamo che la fase post-picco comporti un calo dei rendimenti e degli indici di Sharpe. Prepariamo quindi il portafoglio a questo scenario.


Larry Hatheway – capo economista – GAM Investments