“Greenwishing”, la modalità per stimolare la ripresa dopo il Covid-19
Possiamo definire tre implicazioni a breve termine del coronavirus sugli investimenti sostenibili:
- Performance e flussi dei fondi.
- Alla scoperta della “S” in ESG.
- Le imprese creano un impatto. Le aziende hanno convertito i loro processi per produrre prodotti sanitari, come mascherine per il viso, ventilatori, guanti e dispositivi di protezione. Questo è considerato un esempio di impact investing – investire in aziende che creano prodotti che possono aiutare la società.
Il 16 marzo il mercato azionario ha toccano i minimi da dicembre 2016 con un calo del 35% rispetto ai massimi storici di metà febbraio, con un successivo rimbalzo del 25%. Dunque, abbiamo assistito al calo ma anche alla ripresa più rapidi di sempre.
L’attuale crisi sanitaria ha un impatto significativo sulla società. Abbiamo visto che le strategie incentrate sui criteri ESG reggono relativamente bene rispetto agli investimenti tradizionali. Di conseguenza, le aziende con una forte strategia di sostenibilità sembrano meglio posizionate per resistere al Covid-19. Anche l’allocazione settoriale è importante: le società che operano nel settore energetico e dal profilo più ciclico, come le società finanziarie e dei materiali, sono molto più colpite rispetto al settore sanitario, all’IT e alle telecomunicazioni. Quest’ultimi sono sovrappesati nei fondi ESG.
Lo scenario attuale è il primo test importante per i fondi ESG, anche se la performance relativa è stata abbastanza resiliente. I flussi dei fondi in prodotti ESG rimangono solidi dall’inizio dell’anno. In termini di performance, rispetto all’indice MCSI World, l’MSCI World ESG Leaders ha registrato un minore impatto YTD in EUR, pari a -9,2% rispetto a -10,7%. La sostenibilità implica una visione a lungo termine. Dovremmo considerare e analizzare le questioni a lungo termine per essere in grado di affrontarle quando si verificano. Le aziende, che includono nelle loro attività aspetti di lungo termine, sono ora più resistenti.
Attualmente, guardando agli ESG, la “S” e la “G” dominano la “E”. Infatti, si sta innescando un passaggio rilevante dalle questioni climatiche alle questioni più sociali (“S”) come il sostegno all’occupazione, la salute e la sicurezza, la gestione della catena di fornitura e sul fronte “G” relativo a una gestione finanziaria prudente quando si tratta di politiche retributive e di capitale. Nonostante ciò, le tendenze a lungo termine rimangono importanti, ovvero il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, e dunque siamo a un bivio.
Da parte dei governi e delle politiche, c’è una crescente volontà di spingere verso una “ripresa verde”. Ad esempio, il piano di ripresa dell’UE comprende aspetti legati alla modernizzazione delle economie europee in termini di transizione energetica e di economia circolare. C’è un chiaro desiderio di affrontare l’emergenza con la possibilità di investire in infrastrutture verdi. La Cina, nel suo piano di ripresa, ha posto grande enfasi su questo aspetto, con importanti investimenti in ferrovie, veicoli elettrici e stazioni di ricarica. In altri Paesi, questa volontà di incentivare gli investimenti “green” potrebbe essere più che altro chiamata “greenwishing”.
Durante la crisi, per far fronte alla pandemia, le società sono diventate più sostenibili. Promuovono il lavoro a distanza, permettono un’organizzazione del lavoro più flessibile, contribuendo all’uguaglianza e alla diversità. La domanda è: continueranno a offrire questo beneficio ai dipendenti anche dopo la crisi pandemica? Abbiamo visto che le realtà già preparate in termini di smartworking e flessibilità sono state più pronte ad affrontare l’emergenza e a passare a condizioni di lavoro diverse. La decarbonizzazione è ancora una questione rilevante, anche se per ora la priorità è diminuita da parte dei governi; tuttavia la sfida della decarbonizzazione è rimasta invariata e siamo ancora lontani dalla “carbon neutrality”.L’argomento è ancora molto interessante per molte ragioni: prima del Covid-19, c’era una volontà dei governi di spingere per le politiche verdi come ad esempio il “Green Deal” dell’UE. C’è un crescente sviluppo delle tecnologie rinnovabili, molte aziende sono realmente impegnate nella decarbonizzazione e negli obiettivi ESG ed è improbabile che questa tendenza si inverta rapidamente. Secondo una recente indagine di Barclays, il 30% dei fondi di investimento ha già inserito gli obiettivi di decarbonizzazione nella propria
strategia. I pacchetti di stimolo possono accelerare i tempi della transizione verso un mondo decarbonizzato anche se non abbiamo ancora raggiunto la neutralità delle emissioni di carbonio, che è l’obiettivo per il 2050. L’attuale crisi porterà probabilmente a un forte calo delle emissioni di CO2: per quanto vada ad agevolare il percorso verso il raggiungimento degli obiettivi racchiusi nell’accordo di Parigi siamo ancora abbastanza lontani dal traguardo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C. Inoltre, le emissioni segneranno un rimbalzo quando l’economia ricomincerà a funzionare.
In termini di prospettiva e settori a lungo termine, privilegiamo la tecnologia, il settore sanitario, i beni di prima necessità, i servizi di comunicazione e le applicazioni di intrattenimento. Preferiamo le società di qualità con forti credenziali ESG, basso indebitamento e flussi di cassa prevedibili. Evitiamo in larga misura settori dalla forte connotazione ciclica, come i finanziari e le attività legate ai modelli dell’economia tradizionale.