Eurozona: Un momento caratterizzato da un forte rischio

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Se a dicembre stimavamo che il 2022 sarebbe stato un altro anno di crescita globale superiore al trend, adesso abbiamo rivisto al ribasso le nostre aspettative, stimando una crescita in linea con il trend. Inoltre, i rischi legati a questa previsione sono orientati al ribasso.

Le nostre stime si basano sull’ipotesi che la fase acuta del conflitto tra Russia e Ucraina duri all’incirca due mesi.

Crescita più debole e inflazione più alta corrispondono a un tradeoff politico decisamente più grave per le banche centrali. Da un lato, l’inflazione ai massimi pluridecennali – e destinata a salire ulteriormente – richiede una stretta immediata. Siamo pienamente d’accordo sul fatto che sia assolutamente necessario invertire il corso della politica monetaria, cosa che avrebbe dovuto verificarsi già sei o nove mesi fa. Il problema, però, consiste nel fatto che le banche centrali hanno ben poche armi a disposizione per combattere le pressioni inflazionistiche a breve termine, che sono in gran parte guidate dall’offerta, e considerato che la politica monetaria opera in tempi molto lunghi, il vero target attuale resta l’inflazione tra un anno. Tra dodici mesi il contesto economico potrebbe essere molto diverso – e probabilmente lo sarà – e riteniamo che ci troveremo ad operare in un contesto caratterizzato da una crescita più lenta e inflazione molto più soft, un fattore che, a sua volta, limiterebbe la portata della stretta monetaria che le banche centrali implementeranno nei prossimi dodici mesi.

Non sbagliavamo quando abbiamo deciso di esprimere una view positiva in merito alle aspettative del consenso sulla crescita dell’Eurozona. Infatti, la regione ha riportato una crescita del 5,3% nel 2021, quasi in linea con le nostre previsioni dei primi mesi dell’anno. Eppure, data la vicinanza geografica e la dipendenza dell’Eurozona dalla fornitura di energia russa, una nube scura e incerta aleggia sulle prospettive di crescita a breve termine della regione. Partendo da questi presupposti, abbiamo ridotto in maniera significativa ma non drastica le previsioni di crescita dell’eurozona per il 2022, passando dal 4,4% al 3,7%. Questo valore coincide con l’ultima proiezione della BCE, anche se ci sono alcune sfumature strutturali sotto la superficie. Per esempio, riteniamo che il trend della spesa per i consumi sarà più moderato, mentre gli investimenti e le esportazioni aumenteranno.

In ogni caso, il messaggio di gran lunga più importante è che vi sono maggiori rischi al ribasso per l’Europa rispetto ad altre parti del mondo. La Germania resta un grande punto interrogativo, dal momento che l’anno scorso ha persistentemente deluso le aspettative, in parte a causa dei gravi problemi della catena di approvvigionamento che hanno colpito il suo settore manifatturiero. Anche la spesa per i consumi non è stata entusiasmante, crescendo a malapena dopo una contrazione del 6,1% nel 2020. Contavamo su una grande ripresa della spesa per trainare la performance nel 2022, ma la guerra in Ucraina e il deterioramento del potere d’acquisto delle famiglie dovuto all’aumento dell’inflazione ci hanno spinto a ridurre le aspettative. Ci sono anche altre incertezze sulla tempistica e sul ritmo della ripresa della produzione automobilistica attesa.

Il resto dell’eurozona ha registrato una performance sorprendente l’anno scorso, controbilanciando la debolezza della Germania. Questo però significa anche che da qui in poi non ci sarà una vera e propria fase di ripresa per la regione e le stesse dinamiche dannose per il potere d’acquisto delle famiglie si stanno verificando in altre parti del mondo. Ci aspettiamo che i governi intervengano ancora per minimizzare l’impatto sui consumatori, ma non c’è modo di ridurre il peso di questi interventi normativi che ricadrà sui consumatori stessi. Per fortuna questi ultimi hanno a disposizione ingenti quantità di risparmi per poter far fronte alla situazione, proprio come sta avvenendo negli Stati Uniti. C’è voluto un po’ di tempo affinché la fiammata inflazionistica si materializzasse nell’Eurozona, contribuendo a mantenere l’inflazione intorno al 2,6% nel 2021. Tuttavia, la dinamica ha iniziato a cambiare drasticamente alla fine dell’anno scorso e la guerra in Ucraina rende il picco di inflazione di quest’anno molto più intenso di quanto previsto in precedenza.

Abbiamo praticamente raddoppiato la nostra stima sull’inflazione del 2022 al 5%. Secondo la nostra ipotesi di base, che prevede che il conflitto Russia-Ucraina resti contenuto, le pressioni sui prezzi si allentano e gli effetti di base facilitano un forte calo dell’inflazione l’anno prossimo. Ma se i rischi per la crescita sono al ribasso, i rischi di inflazione sono orientati al rialzo. La BCE ha mantenuto un atteggiamento ribassista per la maggior parte dell’anno scorso, ma l’intensità del picco dell’inflazione ha costretto la banca centrale a rivedere la propria posizione. Durante il meeting di marzo, la BCE ha annunciato che avrebbe posto fine al programma di acquisto di asset nel terzo trimestre, facendo presumere un aumento dei tassi nel quarto trimestre, o anche in quello precedente. Se le nostre previsioni sul conflitto dovessero davvero verificarsi – e probabilmente si verificheranno – gli effetti delle decisioni della BCE sarebbero minori rispetto a quelle della Fed, della Bank of England e della Bank of Canada. Crediamo che la BCE alzerà davvero i tassi solamente nel 2023.