Economia: lo sviluppo della Regione Marche
Gian Mario Spacca: “ È necessario un nuovo paradigma fondato sulla capacità di adattamento del fattore organizzativo imprenditoriale rispetto al mutamento degli scenari geo-economici per riprendere il cammino della crescita e della competitività “
In seguito allo speciale “L’Economia d’Italia“ del Corriere della Sera sulla Regione Marche ci siamo chiesti come fosse compatibile lo sviluppo regionale in un mondo sempre più globalizzato ed interdipendente. A tal proposito abbiamo intervistato Gian Mario Spacca, già Presidente della Regione Marche e attualmente Vicepresidente della Fondazione Aristide Merloni.
Durante l’intervista Spacca ha tracciato un’analisi storico – economica di quelli che sono stati i cambiamenti che la Regione ha subito nel corso del tempo: in particolare si è focalizzato sui fattori che hanno fatto sì che lo sviluppo economico regionale si arenasse nel 2010 dopo una gloriosa fase di “Belle Époque” avvenuta a partire dagli anni ’70. A tal proposito l’intervistato ha sottolineato a più riprese come questa flessione fosse in buona parte proprio il frutto della pigrizia del ceto produttivo e politico marchigiano, incapace di adattarsi ai cambiamenti di contesto posti in essere dalla globalizzazione e quindi presbite nella formulazione di strategie innovative di medio – lungo periodo. Non c’è tuttavia da rassegnarsi al destino cinico e baro che sta colpendo l’economia marchigiana: nuove figure imprenditoriali, coadiuvate da una riorganizzazione dei fattori di conoscenza, stanno emergendo nel solco dell’innovazione.
Intervista a Gian Mario Spacca
Quali sono i deficit storici del sistema economico marchigiano?
“Il deficit va contestualizzato in base al periodo temporale che prendiamo in considerazione. Il modello marchigiano, basato su industrializzazione diffusa, distretti industriali, piccole imprese e settori maturi, è entrato in crisi nel momento in cui, di fronte al processo di globalizzazione, dematerializzazione, digitalizzazione e di frammentazione, le Marche non sono state in grado di reggere all’onda d’urto manifestatasi con il cambiamento. Il deficit più alto è risieduto nella scarsa capacità d’innovazione, nella non capacità di realizzare processi di progresso, differenziazione o e diversificazione sia delle imprese che dei prodotti. Questo fatto è misurabile empiricamente: le Marche investono mediamente lo 0,7% del PIL (composto da 0.4% di investimenti da parte settore pubblico e uno 0,3% dal settore privato) in ricerca e sviluppo, di gran lunga inferiore sia rispetto alla media europea (2,8%) e quella nazionale (1,5%). La capacità d’innovazione è stata quindi la strutturale debolezza che ha fatto sì che si verificasse questo processo di lenta decadenza”.
Lei crede che la globalizzazione possa favorire una regione piccola come le Marche o è stata un ostacolo al suo sviluppo?
“Se guardiamo al processo d’internazionalizzazione sicuramente l’apertura ai mercati internazionali, soprattutto negli anni ’80 e ’90, ha favorito lo sviluppo dell’economia regionale, di tutte le imprese in ogni settore ed in particolare del settore calzaturiero. La spinta positiva all’internazionalizzazione, tuttavia, è stata corretta in negativo dai cambiamenti radicali che la globalizzazione ha posto in essere. Per fare solo un esempio: fino agli anni 2000 i calzaturieri andavano alla fiera delle calzature specialistiche in vari paesi come in Russia e direttamente nella fiera si acquisivano gli ordini che venivano poi messi immediatamente in produzione. Con la globalizzazione il sistema della distribuzione è mutato e le piccole imprese non sono state in grado di fornire e produrre le tipologie e le quantità che venivano richieste. In sintesi la piccola dimensione dell’impresa non ha fatto massa critica rispetto alle novità introdotte dalla globalizzazione. Non sono state create piattaforme commerciali come è avvenuto per altre realtà. Il carattere dell’imprenditore marchigiano è una monade protesa all’individualità, non disponibile a mettere in comune la propria esperienza per creare massa critica necessaria per essere sul mercato globalizzato”.
Sempre sul fronte internazionale l’attuale guerra tra la Russia e l’Ucraina rappresenta sicuramente una minaccia per l’economia della Regione fondata in larga parte sull’export. Quali settori risultano particolarmente suscettibili al conflitto?
“Il fattore geopolitico ha una rilevanza molto importante. Basti pensare al fatto di quanto sia stato penalizzato dalla guerra in corso il settore calzaturiero con la chiusura dei mercati russi. Vi erano imprese che esportavano in Russia circa l’80 / 90 % della loro produzione. Dovremo misurare l’evoluzione negativa del conflitto per capire come e in che misura impatterà sull’economia regionale”.
Ma non crede che tra le cause di declino vi sia una differenza di visione tra la classe imprenditoriale di ieri e quella di oggi?
“La figura imprenditoriale del dopoguerra proveniva da un modello di derivazione contadina del governo ordinato, statico della successione di stagioni, che ha retto quando al centro del modello di sviluppo vi era la produzione e la fabbrica. Mentre l’Italia degli anni ’70 era frenata dalle contestazioni, nelle Marche si verificava lo “sviluppo senza fratture sociali “di cui parlava Giorgio Fuà. Oggi, sulla scia dei cambiamenti che citavo prima, forse serve una nuova generazione di imprenditori profondamente diversa che non sia solo in grado di combinare i fattori di produzione, ma che sappia organizzare fattori più complessi, con una visione orientata alla finanza, ai mercati, ai grandi cambiamenti e all’interpretazione dei processi d’innovazione. Bisogna agire quindi sui fattori di conoscenza immateriale (start up, Università) investendo sull’automazione e sul digitale. Ripeto nuovamente: se le Marche sono state declassate, secondo la classificazione europea, da regione di convergenza a regione di transizione per la flessione del PIL e benessere ciò deriva dal fatto che anche le imprese manifatturiere sono entrate in crisi. Nonostante ciò, c’è capacità di reazione e oggi nella Regione sono presenti nuove forme d’imprenditoria innovativa”.
La riorganizzazione dei fattori di conoscenza è dunque fondamentale per riprendere il cammino della crescita. A tal proposito quali “esperimenti“ innovativi sono presenti nella Regione ?
“Come Fondazione Merloni abbiamo creato una piattaforma che si chiama HAMU la quale coinvolge gli sforzi delle 9 Università presenti nel Centro Italia ( Marche , Umbria ed Abruzzo ) e che mette al centro del suo sviluppo futuro proprio l’Università e la sua capacità di produzione non solo dell’innovazione ma anche del fattore organizzativo imprenditoriale attraverso la declinazione di nuovi paradigmi all’interno di un’ecosistema. È molto ben augurante in tal senso che questo progetto abbia vinto il bando nazionale del PNRR per gli ecosistemi dell’innovazione territoriali”.
A suo avviso la politica ha qualche responsabilità nel ritardo nello sviluppo economico? Mi riferisco anche al fatto che le Marche negli ultimi anni non abbiano avuto rappresentanti sia nel Governo nazionale che nelle organizzazioni rappresentative.
“Sicuramente la mancanza di rappresentanza politica a livello nazionale negli ultimi anni sia negli organi di governo che nelle varie associazioni come, ad esempio, la Confindustria sia è stato un motivo di rallentamento della crescita della comunità regionale. In passato non è stato sempre così: nel 1980 Vittorio Merloni divenne Presidente di Confindustria in rappresentanza di un modello riconosciuto d’imprenditorialità che si impose all’attenzione nazionale. Oggi c’è un’imprenditorialità con minore identità. Un’imprenditorialità che, come ho detto in precedenza, non è stata veloce nell’ adattarsi ai cambiamenti. La stessa cosa si può dire per la politica: in politica non ci sono Ministri o figure di riferimento nazionale perché la comunità politica marchigiana è molto frammentata e non vuol riconoscersi in una strategia che trovi sintesi in qualche forma di rappresentanza.”
In definitiva: possiamo essere ottimisti per il futuro?
“Dobbiamo guardare con uno sguardo positivo al futuro nella consapevolezza che, come nella vita del resto, vince sempre chi riesce ad adattarsi velocemente ai mutamenti di scenario”.