Siamo a un punto di flesso? I corretti comportamenti finanziari
Il discorso pronunciato da Powell al Brooking Institute mercoledì 30 novembre sembra mettere la parola fine a dodici mesi di politica monetaria dura, “il taglio dei tassi è qualcosa che non vogliamo fare troppo presto, è questo il motivo per cui stiamo rallentando”.
Un’apertura al rallentamento che prelude una fase di pausa nei primi mesi del nuovo anno, questa è la nuova narrazione alla quale sembrano credere i mercati che hanno salutato con rialzi il nuovo corso della Fed.
Uno degli indicatori da tenere d’occhio per far presagire l’interruzione della politica restrittiva è l’andamento dell’inflazione abitativa, ha detto Powell, in modo particolare gli affitti. In effetti l’aumento dei tassi ipotecari e l’offerta di nuove case hanno messo pressione al settore immobiliare e un po’ ovunque negli Stati Uniti i prezzi degli immobili hanno cominciato a scendere.
Fatte salve le differenze tra le città, come accade ovunque (Manhattan non è Seattle), i prezzi stanno scendendo a una velocità che non è più stata osservata da qualche decennio (con l’eccezione della crisi acuta del 2008).
L’altra condizione posta da Powell è l’andamento del mercato del lavoro che “deve dare segni di indebolimento” e, ha aggiunto, “abbiamo ancora molta strada da fare per ripristinare la stabilità dei prezzi”, non sono esattamente le parole che ci si aspetta da una “colomba” o da una persona intimorita dalla prospettiva di una recessione.
La domanda di lavoro resta forte, in novembre sono stati creati 263.000 nuovi posti di lavoro non agricoli, più dei 200.000 previsti, meno rispetto ai 284.000 di ottobre, il tasso di disoccupazione al 3,7% è vicino ai minimi degli ultimi cinquant’anni, le offerte di lavoro superano i lavoratori disponibili di circa 4 milioni, ovvero circa 1,7 offerte di lavoro per ogni persona in cerca di occupazione.
Da una parte Powell sottolinea la resistenza della domanda di lavoro, dall’altra la manifattura comincia ad avvertire gli effetti del nuovo scenario: il PMI di novembre, l’indice dei responsabili degli acquisti, è sceso sotto il valore di 50 per la prima volta dal giugno 2020 (valori superiori a 50 indicano espansione, al di sotto rallentamento).
Il PMI è ritenuto un affidabile indicatore previsivo, la rilevazione di novembre, se confermata nei prossimi mesi, potrebbe costituire un punto di flesso. Sul 2023 pesa la curva dei rendimenti americana dove i tassi a breve termine sono di circa un punto superiori a quelli a lungo termine.
L’inclinazione negativa della curva esprime la preoccupazione che i tassi, nel tempo, siano destinati a scendere sotto la spinta di condizioni economiche avverse.
Guardando al passato, una persistenza dell’inversione è stata sinistro presagio di recessione. La recessione mette ovviamente a repentaglio gli utili aziendali e, dunque, le performance azionarie, i mercati obbligazionari possono invece approfittare dell’inversione della curva con opportuni posizionamenti e arbitraggi sulle scadenze.
I nuovi livelli dei rendimenti fanno tornare l’alternativa all’investimento azionario: quest’ultimo resta nel lungo termine il miglior antidoto all’inflazione, ma i risparmiatori possono tornare ad avere rendimento fermandosi un po’ più in basso nella scala del rischio.
Nell’Eurozona l’inflazione in novembre ha mostrato i primi segnali di frenata, in buona misura grazie al calo dei prezzi dell’energia, ma aumentano i segnali di debolezza. In Germania le vendite reali al dettaglio in ottobre sono scese del -2,8% rispetto al mese precedente (in calo del -5,2% rispetto allo stesso periodo nel 2021) e le imprese hanno pesantemente frenato gli investimenti.
L’appuntamento è alla settimana del 12 dicembre, quando verrà pubblicato il dato dell’inflazione americana di novembre e si terranno le riunioni mensili della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea.
Il valore di novembre del Consumer Price Index, rappresentativo delle abitudini di spesa del consumatore americano medio, dirà se la flessione di ottobre sia stata un caso isolato o se siamo al punto di flesso.
Se a metà dicembre emergeranno indizi che facciano intravedere un punto di flesso, le scelte allocative sui portafogli potrebbero riguardare aggiustamenti dell’esposizione agli asset rischiosi ma in questa fase dell’anno è bene ricordare che sono in gioco, più che in altri momenti, gli aspetti psicologici dell’attesa del rally di fine anno che, invero, ha già fatto parecchia strada in novembre.
Meglio non scommettere per non rischiare di cozzare contro il principio di realtà, gestire la fase di transizione con prudenza ricordando che la volatilità ci accompagnerà ancora per un po’ di tempo, soprattutto per la progressiva diminuzione della liquidità, una condizione che non ha mai favorito l’assunzione di maggior rischio.
Restano cruciali la flessibilità e la selettività, i temi di interesse non mancano ma dovranno essere valutati con attenzione, tenendo conto delle caratteristiche di ogni singola classe di attivo, la sensibilità ai tassi, il livello del prezzo, la robustezza del business, la capacità di trasferire gli aumenti dei costi sui prezzi finali.
È tempo di pragmatismo. L’investitore pragmatico agisce sulla base di informazioni e di alternative ben ponderate, non perde di vista gli obiettivi di lungo termine, la fedeltà al metodo lo rende sufficientemente sereno nella consapevolezza di aver operato nel portafoglio con coerenza. Non sappiamo cosa riservi il futuro, sappiamo però che l’atteggiamento pragmatico nella gestione dei portafogli è sempre preferibile agli approcci dogmatici.