LMF Lamiafinanza

Chiediamo scusa alle nuove generazioni. Intervista ad Alessandro Arrighi

-
- Advertising -

Chiediamo scusa alle nuove generazioni — 

Intervista ad Alessandro Arrighi

La società italiana sta subendo notevoli cambiamenti da qualche tempo. E i giovani incontrano sempre maggiori difficolta a entrare nel mondo del lavoro. Lei che cosa ne pensa?

- Advertising -

“Il presidente Meloni dice che alle amministrative “Ha vinto il buon governo”, sarà vero, o ha solo vinto il desiderio di “tornare a sognare”? Quando iniziai il mio praticantato, come aspirante commercialista, non percepivo alcuna remunerazione, così come non guadagnavo quasi nulla, per il lavoro in università. La mia remunerazione era il tempo prezioso che il mio dominus, il titolare dello studio, mi dedicava pazientemente. Dopo pochi mesi, però “già” guadagnavo centocinquantamila lire al mese, che, quanto al potere di acquisto, possono essere paragonati a circa centocinquanta euro scarsi, in moneta corrente. Fui molto felice di quel primo risultato, poi, alla fine del praticantato ero arrivato a guadagnare, con soddisfazione, quattrocentomila lire.”

 

Quando lei ha iniziato a lavorare, una trentina d’anni fa, qual’era l’atteggiamento dei giovani?

- Advertising -
“Trovare un lavoro, a prescindere dalla remunerazione, era, all’epoca, un’aspirazione e una necessità etica. Malgrado la famiglia da cui provenivo non fosse certo ricca e i miei straordinari genitori, a cui sarò eternamente riconoscente per questo e per molto altro, facessero dei sacrifici per mantenermi, quello che importava (a me e a loro) non era la remunerazione, ma l’obiettivo che io potessi realizzarmi. La mia privilegiata condizione di giovane laureato era certamente molto diversa da quella in cui si trovava un operaio, o anche un apprendista contabile: per realizzare il mio sogno, quello di essere un libero professionista, io ero disposto a lavorare quasi gratis e mamma e papà a mantenermi; ma anche per le figure meno professionalizzate, il discorso era simile: si doveva imparare un lavoro, per poter iniziare la scalata, che ti avrebbe fatto crescere e, forse, garantito un futuro migliore”.
In questi giorni si discute molto sul fatto che i giovani siano spesso sottopagati
“Mi assale un senso di sdegno, quando assisto ai dibattiti in cui si discute se i cosiddetti datori di lavoro siano degli sfruttatori o i ragazzi bamboccioni senza nerbo: a quei ragazzi, la mia colpevole generazione ha rubato il sogno. Credevamo di avere il mondo o almeno il nostro destino nelle mani, noi boomer quando ci si laureava… o, anche, diplomava, perché già quelle del ragioniere e del geometra erano stimate professioni. Volevamo incominciare a lavorare il più presto possibile, perché sognavamo che sarebbe stato l’inizio di una carriera straordinaria. La terza repubblica, è la repubblica della miseria: profitti troppo bassi, quando non inesistenti, non consentono di pagare salari, che convincano le persone a scendere dal letto la mattina e, intanto, il dibattito politico, anziché sulla ripresa e sul sostegno dell’impresa, si sposta, per caso o ad arte, sul salario minimo e sul reddito di cittadinanza”.
E’ cambiato l’atteggiamento dei giovani nei confronti di professioni come la sua, quella di commercialista?
“Dieci anni fa, quando cercavo personale che volesse lavorare per me, ricevevo centinaia di curricula, oggi, a prescindere dalla paga, sembra davvero sempre più difficile trovare qualcuno che abbia voglia di imparare a fare il commercialista. Forse i rischi professionali sono diventati inaccettabili, forse è venuto meno anche l’orgoglio di “fare parte di un ordine”: sentimento che trova le sue radici in un’antica tradizione cavalleresca, e che perde molto del suo significato, quando il collega che fa il curatore o che occupa una posizione di superiorità contingente e momentanea, si aspetta che gli venga dato del lei, anziché del tu come si fa tra colleghi”.
Quali aspetti sono cambiati di più nella società italiana?

“Il sistema economico è diventato un campo di battaglia tra poveri: da una parte, imprenditori, che, talvolta, non riescono a pagare le tasse, che essi stessi hanno onestamente dichiarato e che, spesso, vendono addirittura le fortune accumulate dai propri padri, per cercare di salvare un’impresa in crisi; dall’altra parte, dipendenti che non arrivano a fine mese e che, per uno stipendio, con il quale non riescono a mantenere comunque una famiglia, non sono nemmeno più disposti a lavorare; dall’altra parte ancora, professionisti, che consumano tra le dieci e le dodici ore ogni giorno in ufficio, per sbarcare il lunario, rischiando magari un giorno di essere penalmente coinvolti, magari per errore, nella bancarotta fraudolenta del proprio cliente. E poco importa che quest’ultimo, proprio perché in crisi, ormai da tempo, nemmeno pagasse più alcuna parcella: la colpa è quella di avere assistito un “criminale” e non essersi accorti di una potenziale condotta illecita, che, talora, il malfidente cliente gli aveva tenuto scientemente nascosta, più spesso, senza dolo di nessuno perché l’imprenditore non sapeva che una volta aperta la liquidazione giudiziaria (il vecchio fallimento), il tentativo di salvare la sua impresa e i posti di lavoro, poteva essere considerato un illecito”.

E poi?

“E poi le tasse. Basta una norma interpretata male da chi, magari, aveva seguito un precedente orientamento giurisprudenziale, perché la scure di un fisco, spesso tragicamente imprevedibile, possa scagliarsi su un’impresa, per determinarne la liquidazione giudiziale. Né si può fare davvero affidamento su una giurisprudenza tributaria precedente, magari anche della Suprema Corte, spesso disposta a rimangiarsi totalmente le proprie precedenti conclusioni, assunte in analoghe circostanze da una diversa sezione. Quell’errata interpretazione finirà poi ad alimentare le statistiche dell’evasione fiscale, che, sbandierate dai media, creano tensione e odio nel sistema sociale. Se, un tempo, con lo strumento del condono, si andava periodicamente a “pareggiare i conti”, la normativa europea e una mutata percezione dell’etica non lo consentono più: non c’è più possibilità di redenzione o, almeno, di riparazione.

Se la legge è incerta o comunque percepita ingiusta dalla comunità, i cosiddetti “furbetti” se ne giovano, mentre le persone oneste, che non mettono in atto misure di protezione patrimoniale, non hanno prestanomi e si giocano tutto quello che hanno, rischiano di essere le vittime sacrificali. Questo processo di selezione avversa, alla fine, genera sfiducia e allontana, da un lato, i giovani dal lavoro, dall’altro lato i migliori cervelli e i capitali degli imprenditori italiani e stranieri dal nostro paese. Imprese storiche che hanno reso grande la nostra industria, spostano le loro sedi sociali in Paesi meno punitivi, come gli Stati Uniti o la vicina Olanda”.

Che cosa si può fare per salvare il salvabile?

“Occorre un nuovo patto sociale tra le categorie. Imprenditori e sindacati devono essere disposti a cambiare approccio, prima che sia troppo tardi. L’unica via di uscita è lo sviluppo. Non voglio apparire così ingenuo da fingere che via sia la possibilità di superare le contrapposizioni, anche politiche e spesso ideologiche o comunque aprioristiche, tra le rappresentanze sociali, prima ancora che tra i soggetti che essi rappresentano. Ma la base di partenza, fulcro comune di tutte le leve, deve diventare lo sviluppo del Paese e perché ciò avvenga è necessario che l’impresa e la professionalità degli operatori, tornino al centro. Forse gli ordini professionali, se sapranno cogliere la sfida, con la loro credibilità, potranno essere quel fulcro facilitatore.

I politici che sapranno intercettare durevolmente questo desiderio di tornare a sognare, saranno quelli che governeranno interrottamente nei prossimi anni. Prima che la nostra generazione esca inesorabilmente di scena, dobbiamo provare a restituire ai giovani quel sogno che abbiamo rubato loro. Quello che ci avevano tramandato i nostri padri e le nostre madri. Perché i nostri figli e le nostre figlie meritano molto di più di un mondo virtuale, dove scambiarsi like e commentare, con un velo d’odio, il successo dei pochi che ce l’hanno fatta, nonostante tutto”.


Le foto presenti su www.lamiafinanza.it sono in larga parte prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione non avranno che da segnalarlo alla redazione (redazione@lamiafinanza.it) che provvederà alla rimozione delle immagini utilizzate.