FVS – Elezioni USA: sconvolgimento politico in agguato?

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La tattica dei Democratici di riprendere e rielaborare i precedenti temi caldi di Donald Trump non ha funzionato. Durante il suo mandato, il Presidente Joe Biden non si è nemmeno avvicinato all’obiettivo di ridurre la polarizzazione politica e sociale negli Stati Uniti. Dal canto suo Trump, malgrado la sconfitta elettorale nel novembre 2020, l’assalto al Campidoglio nel 2021 e le numerose accuse penali, non ha ancora perso il fascino politico. È altrettanto discutibile se Trump e, soprattutto, il suo modello di business, possano essere politicamente disincantati da una vittoria elettorale di Kamala Harris a novembre.

Il fatto che Trump abbia costantemente ripetuto che la vittoria alle elezioni del 2020 gli sarebbe stata rubata ha alimentato ulteriormente la polarizzazione sociale e politica e ha indebolito la fiducia di molti americani nella stabilità delle istituzioni politiche nazionali. E prima o poi la perdita di fiducia nelle istituzioni politiche tende sempre a ripercuotersi anche sull’economia. Inoltre, le “linee di battaglia culturali” degli Stati Uniti, caratterizzate da politiche identitarie di destra e di sinistra, impediscono la formulazione di un programma economico e politico che possa ottenere un sostegno sufficiente al di là degli schieramenti di partito. Anche il programma politico della Harris non è volto a superare la polarizzazione.

Perdita di fiducia, scontri culturali, blocchi: è un circolo vizioso. Poiché le strutture politiche istituzionali degli Stati Uniti sono concepite per prevenire orientamenti decisionali unilaterali attraverso controlli ed equilibri, chiamati in gergo “check e balance”, la polarizzazione nel paese porta regolarmente a un’impasse politica e alla procrastinazione dei problemi. Queste dinamiche alimentano la polarizzazione politica e sociale. Se i Democratici dovessero vincere di nuovo, c’è da temere che un Donald Trump sconfitto e i suoi sostenitori denuncino ancora brogli elettorali, con un conseguenti forme di insurrezione simili a una guerra civile. Ma anche se Trump dovesse vincere le elezioni, soprattutto se con una maggioranza risicata, non si possono escludere reazioni analoghe da parte dei suoi avversari.

Una vittoria di Trump potrebbe mettere a repentaglio la democrazia negli Stati Uniti. Potremmo dover affrontare la minaccia di un sistematico indebolimento dell’insieme di meccanismi “check and balance”, cioè una ristrutturazione dell’ordine costituzionale statunitense, con la giustificazione della teoria del complotto secondo cui lo “Deep State” avrebbe già ostacolato le politiche di Trump nel suo primo mandato e gli avrebbe rubato la vittoria nel 2020. Trump continua a parlare di voler distruggere lo “Deep State”, rimanendo però vago su ciò che intende effettivamente. Ad esempio, ha detto di voler essere dittatore per un giorno e che i cittadini dovranno votare per l’ultima volta a novembre 2024. Alla luce di queste dichiarazioni è comprensibile ci siano avvertimenti sul fatto che Trump stia danneggiando la democrazia e che il fascismo sia in ascesa negli Stati Uniti.

Mentendo costantemente sul fatto che lo “Deep State” gli avrebbe rubato la vittoria elettorale, Trump sta compromettendo la funzione di pacificazione sociale delle votazioni democratiche. Al contempo, definisce traditori coloro che non appoggiano o si oppongono a questa sua menzogna. E i traditori sono perseguitati e ostracizzati, sono stati ribattezzati i nemici del “MAGA” (Make America Great Again).

Dalla prospettiva di Trump, anche i “check and Balances” della Costituzione statunitense, che hanno lo scopo di limitare le opzioni politiche di un presidente eletto, verrebbero denunciati come escamotage di uno “Deep State”, che si oppone al MAGA. È per questo che Donald Trump ha già annunciato che, se vincerà le elezioni a novembre, sostituirà tutti coloro che lo hanno ostacolato in ambito giudiziario e politico. Ed è improbabile che realizzi il suo intento senza mettere a repentaglio l’indipendenza dei tribunali e senza minare il principio “check and balance”.

Senza la polarizzazione tra politica identitaria di destra e di sinistra, che negli Stati Uniti si sta intensificando da ormai due decenni e mezzo, un personaggio come Trump non avrebbe avuto la minima possibilità di diventare Presidente e non sarebbe riuscito ad avere il massimo controllo del partito Repubblicano nel 2024. Se Trump dovesse vincere le elezioni, potrebbe iniziare a realizzare i suoi piani molto rapidamente, dato che a differenza del 2016, c’è già un “governo in attesa” in termini di staff e programma, che potrebbe iniziare a lavorare subito dopo essersi insediato. Rimane il fatto che per qualsiasi legge avrebbe comunque bisogno dell’approvazione della Camera dei Rappresentanti e del Senato, cosa probabile solo se i Repubblicani otterranno la maggioranza in entrambe le camere del Congresso alle elezioni di novembre. In caso contrario, dovrà sempre scendere a compromessi trasversali. Tuttavia, a causa della guerra culturale che lui stesso ha provocato, i compromessi su molte questioni sono alquanto improbabili, il che provocherà ulteriori blocchi politici e procrastinazioni.

In quel caso Trump potrebbe essere sempre più tentato di governare attraverso ordini esecutivi e di esplorarne ed espanderne i limiti, lasciando ai tribunali un ruolo decisivo. È in quest’ottica che le sue dichiarazioni di voler essere dittatore, ma solo per un giorno, assumono un significato particolare. Un programma di governo, per quanto completo e già formulato, potrebbe essere ostacolato dai meccanismi di controllo e bilanciamento reciproco, ma è proprio questo che fomenta la voglia di Trump di sovvertirli. Finora nessun politico statunitense ha presentato un programma per superare la polarizzazione. I danni alla democrazia e il pericolo di una nuova forma di fascismo non sono il risultato delle azioni autoindulgenti di Donald Trump, ma del fatto che negli Stati Uniti non è ancora emerso un movimento politico efficace che possa superare la polarizzazione.